Senso e buon senso, consenso e controsenso, insofferenza e speranza sono i sintomi di un mondo che diventa sempre più riluttante al potere costituito.
Sono anni che l’inquietudine delle piazze tiene il mondo in sospeso. I motivi, a volte irrilevanti in rapporto al caos causato, travalicano il pretesto e si concentrano su quel solco divario sempre più marcato che la globalizzazione sta causando tra ricchi e poveri. Diverse sono anche le problematiche di vita che formano oggetto della richiesta delle popolazioni come l’ambiente, la democrazia, l’adeguatezza socio economica.
Quest’ultima si concretizza sia come richiesta di nuove risorse di tipo salariale, sia come valore di genere in riferimento all’etnia o allo status di migrante, sia infine come valore materiale di vita come quella relativa alla formazione scolastica, alla possibilità di scegliere l’occupazione più confacente alle proprie competenze e professionalità, alla salute.
Ma i politici sono capaci di cogliere questo disagio?
In Cile sono scesi in piazza oltre un milione di persone per protestare contro il carovita. Lo scontro di piazza con la polizia ha causato 18 morti, centinaia di feriti, oltre 7.000 arresti ma anche un danno all’economia cilena che perde più di 1,4 miliardi di dollari. Ad accendere la miccia è stato il rincaro dei prezzi della metro.
In Nicaragua le proteste di piazza dell’aprile 2018 da parte di gente comune, movimenti sociali, organizzazioni civili, sebbene autorizzate, sono state represse dalle forze dell’ordine e dai gruppi paramilitari del governo di Daniel Ortega causando più di 500 morti e più di 600 prigionieri politici e sequestri. Si stimano oltre 30 mila le persone che liberamente hanno scelto la via dell’esilio verso altri paesi. Adesso le manifestazioni di piazza sono state vietate. Le richieste alla base della protesta sono la democratizzazione del sistema politico-elettorale, l’acquisizione delle libertà civili e la riduzione della povertà.
In Venezuela migliaia di giovani continuano a manifestare nelle strade di Caracas per protestare contro il Presidente Nicolas Maduro. I numerosi scontri di piazza tra i sostenitori di Juan Guaidò e l’esercito fedele a Maduro hanno già causato numerose vittime e parecchi arresti ma anche il depauperamento dell’economia delle famiglie. L’attuale dissenso ed i sommovimenti di piazza vanno al di là del semplice conflitto tra dittatura e democrazia. La protesta tocca infatti nodi sensibili della comunità venezuelana come il sistema capitalistico della rendita che, causando l’impoverimento del paese, sta comportando la distruzione dell’attuale tessuto sociale, ma anche il formarsi di disuguaglianze sociali e quelle trame economiche del potere politico che favoriscono l’ingerenza straniera sulle scelte economiche causando l’instabilità politica e socio economica del Venezuela. L’interesse straniero mira ad appropriarsi solamente delle risorse naturali del paese.
In Francia più di 250.000 mila persone si sono riversate in piazza. Gli scontri dei gilet gialli con la polizia, sia a Parigi che in 600 altre piazze francesi, hanno già causato 15 morti, oltre 3.000 feriti e più di 5.000 arresti. La miccia è stata l’aumento delle accise per la benzina, la decisione di abbassare il limite di velocità sulle strade statali da 90 a 80 km orari, l’aumento dei pedaggi autostradali e l’incremento del numero dei radar per le multe, ma il vero motivo è la disuguaglianza sociale che diventa sempre più marcata.
In Italia sono tante le piazze delle “sardine”, circa 40 tra cui Milano, Palermo, Firenze, Napoli, Roma, Bologna, Bari, Reggio Emilia, che stanno manifestando in modo pacifico per rivendicare una posizione di rifiuto ai soprusi, alle menzogne, agli inganni dei politici per una nuova democrazia capace di assicurare quei valori negati come il saper accogliere l’immigrato, un modo diverso di lottare contro la corruzione, di mettere l’uomo, e non già il potere finanziario, al centro dei servizi.
Altre rivendicazioni sono le richieste di maggiori investimenti nella sanità e nella pubblica istruzione, una prospettiva di vita più aderente ai bisogni di una comunità che sappia promuovere i diritti umani e sociali e che sappia costruire solidarietà, uguaglianza e democrazia, rimuovere le disuguaglianze ed allontanare i conflitti.
In Spagna gli indipendentisti catalani sono scesi in piazza per protestare contro la condanna al carcere dei leader indipendentisti. Oltre alla richiesta dell’indipendenza catalana i dimostranti chiedono standard di vita migliore (in termini di salari reali), più prestazioni sociali e maggiori investimenti nelle infrastrutture.
A Malta migliaia di persone sono scese in piazza a La Valletta per manifestare contro il governo ed in particolare contro il Primo Ministro Muscat per indurlo alle dimissioni. La miccia è la morte della giornalista Daphne Caruana Galizia, ma il dissenso va oltre la semplice denuncia e si sofferma sul sistema corruttivo dei politici, che la popolazione continua a denunziare, sulle interferenze che potrebbero intralciare la libera e piena indagine sull’assassino della giornalista Daphne, sulla trasparenza amministrativa e su una maggiore giustizia civile e penale che, da parecchio tempo, risulta venuta meno. Sono queste le vere leve che hanno svegliato le coscienze di piazza della popolazione del piccolo arcipelago maltese.
Nell’ex colonia britannica di Hong Kong oltre un milione di persone si sono riversati in piazza per protestare contro il governo presieduto dal capo esecutivo Carrie Lim. La miccia che ha scatenato il dissenso di piazza da parte della popolazione è stato l’emendamento che avrebbe permesso l’estradizione degli abitanti della grande metropoli asiatica (quindi in carcere) da Hong Kong verso la Cina o altre regioni vicine per alcuni reati ritenuti troppo generici e quindi strumentali per stroncare il dissenso politico da parte dei movimenti giovanili di protesta. Ma il dissenso continua ad andare oltre la contestazione sull’emendamento delle estradizioni e si incentra sulla diseguaglianza sociale portata avanti dai capisaldi del capitalismo finanziario.
Al Cairo in Egitto esplode la violenza in piazza Tahrir. Più di un centinaio di persone sono scese in piazza per protestare contro il presidente Abdelfettah al-Sisi e per il sistema di corruzione che vige attualmente tra i generali e nel governo egiziano. Diversi sono le persone arrestate da parte della polizia. Analoghe manifestazioni sono avvenute in altre importanti città egiziane come Alessandria, Suez, Mahallah e Damietta.
A Beirut migliaia di persone si sono riversate in piazza per protestare contro il governo per la prolungata crisi economica che sta attanagliando il paese e colpendo in modo trasversale gran parte dei suoi cittadini. Il pretesto della sommossa popolare è stata la decisione del governo di tassare le chiamate su internet attraverso applicazioni come Whatsapp, ma i motivi reali della protesta sono le ineguaglianze sociali, le disastrate condizioni delle infrastrutture, impianti elettrici ed idrici, il sistema corruttivo tra le istituzioni e all’interno delle rappresentanze politiche.
In Iraq a Baghdad, come in altri centri urbani, la popolazione continua a riversarsi in piazza per protestare contro il governo. Le rivendicazioni si incentrano sulla corruzione dilagante sulle alte sfere del potere, sull’alto tasso di disoccupazione giovanile, sull’aumento del carovita, sulla carenza di servizi essenziali, sulla bassa qualità dell’istruzione e sul crescente tasso di criminalità. La popolazione in piazza, prevalentemente sciita ma anche frange di sunniti, appartiene a diverse fasce di estrazione sociale ed economiche compresi studenti universitari e personale del ministero della Difesa. Nelle ultime proteste i manifestanti si sono scontrati con le forze di sicurezza che, usando munizioni vere, gas lacrimogeni e granate stordenti, hanno già causato morti e feriti. Le stime parlano di 109 morti e di oltre 6.000 feriti.
Piazze bollenti sono anche in Algeria, in Sudan, in Etiopia, in Giordania, in Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, ad Haiti, e tante altre.