Catania si appresta a celebrare la santa Patrona. Un rito che racchiude in sé culto, devozione, folklore e tradizione.
A Sant’Aituzza così confidenzialmente è chiamata Sant’Agata dai catanesi. Una santa popolare da trovarsi accanto nei momenti difficili, da amare per la fermezza della sua fede, da imitare per la sua incrollabile fede. Il martirio, subito dalla giovane santa ad opera del proconsole romano Quirino, unitamente ai luoghi del suo martirio costituiscono, per il popolo catanese, i simboli di una devozione fatta di amore e di passione.
La memoria storica del suo martirio, fatta di prevaricazione e di soprusi, rimane attuale anche oggi e, forse per questo, a distanza di tanti secoli dalla sua tragica morte il grido “semu tutti devoti tutti” urlato a squarcia gola dai “Devoti” che instancabilmente tirano il cordone della “Vara” che trasporta i resti della Santa, diventa vivo e singolare.
Mentre il culto e la devozione per la giovane martire iniziò immediatamente dopo la sua morte avvenuta il 5 febbraio 251, la festa pubblica venne avviata il 17 agosto del 1126 esattamente dopo il ritorno a Catania delle spoglie della santa, trafugate da Gisliberto e Goselmo a Costantinopoli e da qui riportate a Catania da Giorgio Maniace.
La festa inizia il 3 febbraio e termina il 5 febbraio. In queste tre giornate i momenti che contraddistinguono la festa sono diversi e particolari per spettacolarità e per partecipazione popolare.
Il primo giorno, cioè il 3 febbraio, la processione inizia dalla Chiesa di Sant’Agata alla Fornace, in Piazza Stesicoro, uno dei luoghi simbolo del martirio della Santa.
Qui infatti la Santa subì il martirio, prima con il fuoco e poi con l’asportazione delle mammelle, e per ultimo la morte.
Proprio da questa Chiesa inizia la processione, composta da due carrozze settecentesche precedute dalle autorità civili e militari e dalle tradizionali 11 “candelore” trasportate a spalla dai devoti, che si muove verso la Cattedrale ove si procede alla “offerta delle candele”.
Le candelore sono grossi ceri portate a spalle in rappresentanza delle corporazioni o dei mestieri da numerosi portatori che, a seconda del peso della candelora, possono variare da 4 a 12. L’ordine di sfilata è sempre uguale negli anni: si inizia con il piccolo cero dei Ventimiglia ed a seguire quello degli abitanti del quartiere di San Giuseppe La Rena, realizzato nell’ottocento, quello dei giardinieri e dei fiorai, in stile gotico-veneziano, dei pescivendoli, in stile tardo-barocco, dei fruttivendoli, dei macellai, dei pastai, dei pizzicagnoli e dei bettolieri, in stile liberty, dei panettieri e per ultimo quello del circolo di sant’Agata.
Il secondo giorno, 4 febbraio, è quello in cui la Santa Patrona s’incontra con la città. La cerimonia inizia dopo la solenne “Messa dell’Aurora” quando il mezzo busto contenente le reliquie di Sant’Agata viene portato fuori dalla “Cameretta” ed issato sul fercolo.
Dalla Cattedrale il fercolo viene portato in giro per la città dai Devoti vestiti con il tradizionale “sacco” (un camice votivo di tela bianca lungo fino alla caviglia e stretto in vita da un cordoncino), un berretto di velluto nero e guanti bianchi, sventolando un fazzoletto bianco. La processione dura tutta la giornata ripercorrendo i luoghi del martirio (la Fornace dove si trova il Carcere, il luogo del processo e della successiva morte), il posto “calata da’ marina” dove i catanesi inermi assistettero al trafugamento delle reliquie, il luogo del miracolo “colonna della peste” dove S.Agata nel 1743 risparmiò miracolosamente Catania dall’epidemia della peste, e, dopo aver attraversato il centro storico tra cui la acchianata de’ Cappuccini, Corso Umberto, via Etnea, piazza Stesicoro ed alcuni quartieri della Catania vecchia (San Cristoforo, l’antico Corso, gli Angeli Custodi, piazza Risorgimento e il Fortino) dove trionfa per tutta la notte l’usanza dell’ arrusti e mangia, il ritorno alla Cattedrale.
Il terzo giorno, 5 febbraio, dopo il pontificale, prende avvio la seconda parte della processione che si snoda per le vie del centro storico di Catania. La processione sale per via Etnea giungendo a tarda notte a piazza Cavour, nota con il nome de “Il Borgo”, per ritornare fino alla a cchianata ‘i Sangiulianu dove, tra due ali di folla, viene fatto salire il fercolo. La processione continua fino all’alba del 6 dove in via Crociferi, la Strada Sacra di Catania, dinanzi alla Chiesa di San Benedetto, le Monache di Clausura, con canti e fiori, rendono omaggio a Sant’Agata. Quindi a giorno fatto la processione ritorna in Cattedrale.
Due sono le ricette popolari che la popolazione prepara in occasione della festa: le olivette di Sant’Agata e le Minne di Sant’Agata (Mammelle di S. Agata).