Forse? Quel tepore, quella brillantezza di luce, quei profumi dei prati, quella quieta del mare, quelle brezze di vento che carezzavano le giornate a partire da marzo sembra non esistono più. Oggi assistiamo a tifoni, con venti superiori a 300 chilometri orari, ad ondate di calore atipiche, a siccità prolungate, a piogge torrenziali ed alluvionali insomma ad un clima impazzito che ha un forte impatto sull’uomo e sul mondo animale e vegetale.
Sono anni ormai che i vari governi si riuniscono per definire le azioni necessarie a ridurre l’impatto ambientale di un’economia divenuta sempre più distruttiva per l’uso, sia nella produzione dei beni che nella commercializzazione, di scarti che non sono assolutamente riutilizzabili dalla natura.
La conseguenza è che la natura non è più in condizione di ristabilire un suo equilibrio all’interno del suo ciclo di vita che troviamo nella biosfera (acqua, aria e suolo) e, cosa più grave, sta modificando in modo negativo quella reciproca interazione uomo – ambiente che distrugge gli ambienti naturali fondamentali che si erano formati nel corso di milioni di anni di evoluzione come le zone umide, le foreste tropicali, le barriere coralline, i ghiacciai, fiumi ed ecosistemi ripariali, ambienti nivali, ecc.
I dibattiti internazionali che si sono avuti a partire dagli anni ’70 come la Conferenza dell’ONU sull’Ambiente Umano tenutasi a Stoccolma nel 1972, il rapporto “Brundtland” (Our Common Future) della Commissione Mondiale su ambiente e Sviluppo redatto nel 1987 che raccomanda la creazione di una “nuova carta della terra”, una sorta di dichiarazione universale sulla tutela dell’ambiente, la I Conferenza dell’ONU su Ambiente e Sviluppo organizzata a Rio de Janeiro nel 1992, la II Conferenza dell’ONU su Ambiente e Sviluppo organizzata a Johannesburg nel 2002, sono apparsi più enunciazioni di principi che impegni reali.
Fatto sta che vi sono notevoli interessi economici che si frappongono come macigni ai possibili rimedi che potrebbero realizzarsi sul pianeta per invertirne la rotta. Inoltre questi interessi oltre ad essere molto forti ed inseriti all’interno dei singoli governi si trovano dislocati su tutto il pianeta.
I dati forniti da Organisation for Economic Co-operation and Development (Science, vol. 362 pag.10 del 6/10/2018) ci mostrano infatti, attraverso i dati delle tasse applicate per scoraggiare l’uso di fonti di energia come petrolio, carbone e gas (Svizzera 73%, Gran Bretagna 58%, Italia 54%, Germania 47%, Giappone 31%, Stati Uniti 25%, India 14%, Cina 10%, Brasile 6%, Russia 0%), la disomogeneità degli interventi ma soprattutto l’egoismo economico con cui affrontano i problemi seri della natura e quindi dell’uomo.
Gli annunci pubblici, come l’allarme del Presidente della repubblica italiana Sergio Mattarella il quale ha constato che “Siamo sull’orlo di una crisi climatica globale”, diventano concreti e realizzativi solo se si tramutano in norme cogenti e comunque da concordare a livello globale.
Non c’è da meravigliarsi se, al di là del mondo politico, la società civile rafforza il dibattito pubblico e si muove, come è stato per la giovane sedicenne svedese Greta Thunberg, per sollecitare i governi a muoversi con azioni concrete per fermare il cambiamento climatico.
L’onda verde suscitata dalla giovane svedese ha trovato sui social un ampio consenso collezionando più di 500 mila follower tra Twitter e Instagram e mobilitato il mondo studentesco di tutto il pianeta per sollecitare il rispetto dell’accordo di Parigi sul clima.