Dopo la guerra fredda ci eravamo illusi che il buon senso poteva prevalere sugli equilibri mondiali tra le varie aree geopolitiche del mondo. Ci si era convinti che i conflitti tra i singoli stati potevano essere meglio governati da una società che vedeva nell’economia, nella cooperazione, nella saggezza dell’uomo, nel rispetto di quelle prerogative sociali e di dignità umana il mantenimento di un equilibrio di potere che doveva allontanare le contraddittorietà tra Stati in funzione di una realtà basata su un pacifismo socio-economico, nuovo e foriero di benessere, in cui l’uomo doveva rimanerne al centro.
Di fatto ciò non è successo perché hanno preso piede prima le guerre di tipo etnico nazionali e poi, dopo il gorbaciovismo che mirava a condurre lo stato sovietico verso un’economia di mercato e verso la democrazia, a un nazionalismo putiniano di tipo neoimperialista senza scrupoli e senza umanità.
Modello che per mantenerlo in vita ha ricercato nella storia, in forma virtuale e senza alcun aggancio alla realtà attuale, quei simboli e quei successi politici e di potere che hanno contraddistinto un passato che ormai non esiste più.
Da qui ha preso via il percorso putiniano caratterizzato da una serie di conflitti come quello della seconda guerra in Cecenia nel periodo 1999 – 2009, o quello del conflitto russo georgiano nel 2008, quando le forze di Mosca occuparono in pochi giorni le città georgiane fino a Tbilisi, capitale della Georgia sul fiume Kura, o l’intervento militare del 2014 per il controllo da parte di Mosca della Crimea e Sebastopoli prima e poi del Donbass, o ancora nel 2020 la guerra a Nagorno Karabakh tra le forze azere e quelle armene per il controllo della regione caucasica del Nagorno Karabakh, per arrivare nel 2022 con la conquista di Putin dell’Ucraina.
La fiducia illusoria riposta dagli Stati europei al regime russo, per collaborarne produttivamente con il suo governo per sfruttarne le risorse energetiche e per intrecciarne relazioni commerciali, è venuta meno a seguito del comportamento aggressivo e criminale di Putin all’Ucraina.
Percorso criminogeno caratterizzato sia dalla sostituzione dell’ideologia neoimperialista nazionalista putiniana a quella marxista-leninista sia per l’eccessiva burocratizzazione della macchina del potere del Cremlino che ha modificato, nel ruolo e nel funzionamento, i centri del partito di governo e con essi gli umori e le scelte strategiche per una visione nuova e più aggressiva della politica centrale Russa.
Tutto ciò ha comportato un disallineamento tra quella che possiamo definire la visione storica illusoria del potere russo con quella reale dell’esistenza umana ma anche l’apertura verso un nuovo equilibrio mondiale in cui vengono messi in discussione i rapporti socio economici tra gli uomini e tra gli stati.
Le insofferenze di piazza contro qualsiasi regime e i modelli culturali che ne promanano non tollerano più gli schemi di potere del passato.
Non sono infatti più concepibili i genocidi che vengono costantemente perpetrati contro i civili inermi in nome di illusorie ideologie di potere.
Non sono più plausibili i disconoscimenti dei più elementari diritti umani come quello alla vita, all’autodeterminazione e alla libertà individuale di ciascun popolo o etnia.
Non sono più possibili gli atteggiamenti di governo di una finanza senza scrupoli e senza regole economiche di buon senso sia nell’uso delle risorse che dell’ambiente, ma neanche quelle forme di potere dispotico che negano qualsiasi forma di diritto umano.