Al termine della seconda guerra mondiale pensavamo che la crudeltà, dopo Hitler e il suo regime, non poteva più allignare nell’animo umano. Pensavamo che il buon senso, l’amore per le persone, il confronto sereno e pacato potevano portarci ad evitare nuovi conflitti. Pensavamo inoltre, come sosteneva Albert Einstein, che “la guerra non si può umanizzare, si può solo abolire”. Pensavamo anche che le quattro condizioni per avere la pace fossero, come sosteneva Papa Giovanni Paolo II, solamente “verità, giustizia, amore e libertà”.
Ebbene l’invasione Russa in Ucraina ha riportato l’Europa ed il Mondo intero sull’orlo di un conflitto riproponendoci quel ventaglio di crudeltà umana e di timori, non indifferenti, che pensavamo sopiti.
Il massacro di civili a Bucha, sobborgo alle porte di Kiev, quello a Kramatorsk, nella regione del Donetsk, e di tante altre città Ucraine oltre a riaprire l’animo umano al timore della guerra, facendoci constatare come la pace non può mai allignare quando esiste un abisso tra intenzione e risultato, ci impone una riflessione su quello che definiamo volontà di pace.
Espressione semplice a dirsi ma difficile a realizzarsi perché quasi sempre viene utilizzata a sproposito e, quasi sempre, per nascondere le vere intenzioni di chi, da ipocrita, si muove solo per costruire un interesse, il suo, che è mirato solamente a ricercare il potere politico.
Ricerca che, nell’incapacità di trovare riscontro nel consenso elettorale, assume pretesto per imporre, anche attraverso la guerra, un disegno politico di tipo territoriale, etnico, storico, culturale, politico, economico o religioso che molto spesso assume mostruosità ed orrore.
Il potere autoritario infatti, per sua natura, pretende obbedienza incondizionata dalla popolazione senza peraltro dar conto del suo operato o, in modo più crudo e raffinato, avvalendosi della prevaricazione della forza o peggio utilizzando l’arte della comunicazione di massa per distogliere la pubblica opinione dal reale e condurla verso quel consenso che si intende perseguire.
Meccanismo perverso che va oltre l’equilibrio di ragionevolezza e di proporzionalità di qualsiasi decisione proprio perché si muove all’interno di una logica che va al di fuori dell’interesse pubblico sociale.
La guerra in questo caso diventa normale, come normale diventa la violenza sui civili, sulle città, sugli ospedali, sulle scuole, sui presidi industriali, sugli aeroporti, sui ponti, ecc.
Putin, dal suo primo incarico di governo avuto nel 1998, ha perseguito, con puro cinismo politico, la logica della sopraffazione e del sistematico ricorso alla tortura, magari questa occultata dai media ufficiali di regime, alla carcerazione, all’avvelenamento ed in certi casi anche alla morte degli oppositori.
Il suo progetto politico è stato quello di trovare in qualunque modo il consenso con l’idea di realizzare una nuova area euroasiatica, comprendente le vecchie repubbliche sovietiche, da contrappore a quella euroamericana e a quella indo-cinese.
Progetto autoritario che ha cercato di perseguire con le sue guerre in Cecenia, in Georgia, in Crimea, in Siria, in Kazakhistan e, di recente, in Ucraina.
Progetto che, pur criticato e contrastato dalle varie organizzazioni umanitarie internazionali come ONU, UNICEF, UNESCO, FAO, OMS, AIEA (Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica), dalle organizzazioni militari internazionali come NATO, CEUMC (Comitato militare dell’UE), dalle varie organizzazioni economiche globali come la Banca Mondiale, l’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), si sono dimostrate quasi impotenti a frenare Putin.
Anche Papa Francesco ha evidenziato l’impotenza dell’ONU difronte al massacro di Bucha. In merito, ha detto Bergoglio, “si parla spesso di “geopolitica” ma purtroppo la logica dominante è quella delle strategie degli Stati più potenti per affermare i propri interessi estendendo l’area di influenza economica”.
Ebbene su tutto questo occorre fare una riflessione mirata da un lato a sollecitare tutti gli Stati a rivedere i regolamenti internazionali per riportare i sistemi di collaborazione tra Stati più umani e più rispettosi dei diritti di uguaglianza e di sviluppo socio economico.
Dall’altro mirare a sviluppare una cultura di pace secondo uno schema di coesione tra volontà e risultato ma soprattutto nella consapevolezza che la pace non può e non deve essere il frutto di una crudeltà sconfitta né tanto meno il compromesso ad una ingiustizia perpetrata nei confronti del più debole.